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Lotta alla misoginia, il furto LGBT+ (con il Ferro del mestiere)

Ricorre oggi la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Avanza il pinkwashing di trans e cantanti

Barbara Santambrogio di Barbara Santambrogio
09/12/2020
in Cultura, Editoriali
253
Reading Time: 4min read
0
Scarpe rosse con tacco esposte in piazza

Image by nonmisvegliate from Pixabay

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Last updated on Dicembre 9th, 2020 at 04:39 am

In alcune redazioni di magazine e quotidiani esiste un calendario di date e di anniversari significativi per non rischiare di “bucare” spunti per notizie interessanti. Per esempio la ricorrenza della prima e sciagurata legalizzazione dell’aborto (il 18 novembre 1920, in Unione Sovietica), ma anche quella della scomparsa di Paola Bonzi, fondatrice amatissima del Centro di Aiuto alla Vita di Milano (il 12 agosto 2019), o la giornata mondiale della Nutella, per parlare di qualcosa di più leggero (è il 5 febbraio, in ogni caso).

Chi scrive, per esempio, ha appena “bucato” la notizia della Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il 20 novembre, altrimenti avrebbe scritto che il primo di tali diritti dovrebbe essere quello di nascere, invece di essere abortito nel ventre materno, e il secondo quello di avere una mamma e un papà.

Oggi, 25 novembre, ricorre invece la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una battaglia sacrosanta, questa, che molti tra associazioni e singoli combattono quotidianamente portando aiuto alle donne picchiate o abusate e che numerose iniziative, più o meno folkloristiche, rammentano (dalle panchine rosse sparse nei centri grandi e piccoli alle esibizioni di calzature rosse nelle piazze). Inutile esprimersi sull’utilità o sull’opportunità di tali manifestazioni, le sensibilità individuali infatti possono essere molto diverse.

Una sola cosa è certa: la battaglia contro la misoginia deve essere combattuta, non vi è dubbio. È sbagliato e gravissimo che le donne siano picchiate, maltrattate, insultate, sottopagate, sfruttate, proprio in quanto donne. Più deboli, talvolta meno tutelate, talvolta discriminate.

Ma la violenza contro le donne non coincide con la violenza di genere. Le donne non fanno parte di un gruppo umano indistinto che comprenda individui di sesso femminile, individui che si sentono tali, persone con cervice, persone che mestruano, persone che non mestruano ma gli assorbenti sono anche per loro, LGBT+ dai più svariati gusti e desideri.

Anzi. Esiste una forma specifica e speciale di violenza nei confronti delle donne, o meglio di alcune donne, messa in atto proprio da chi afferma di essere discriminato. Si tratta di quella violenza che viene denunciata per esempio dalla giornalista Marina Terragni e dal collettivo di femministe radicali delle RadFem.

È la violenza perpetrata da chi nega lo specifico femminino, da chi allestisce una mostra a Milano con al centro la rappresentazione della vulva, da chi vuole “appropriarsi” di quello che non è un simbolo, il ciclo mestruale, bensì una caratteristica precipua e fondante del femminile, legato a doppio filo all’aspetto della maternità, sempre negata, questa, dal coté filoabortista che percorre il mondo dei media, dell’informazione, della politica, della cultura.

Esiste un’estensione di Google Chrome che si chiama Shinigami eyes, che serve per schedare e censurare chi fosse considerato “transfobico” da parte dei collettivi LGBT+, anche e specialmente le donne accusate di non appoggiare le istanze queer o transgender. Si è verificato in passato un fatto gravissimo legato al progetto TERF Tracker, che avrebbe dovuto semplicemente (sic) “scovare” le donne ree agli occhi del mondo LGBT+ di essere «femministe radicali esclusive verso i transgender» (così si scioglie infatti l’acronimo TERF: «Trans Exclusionary Radical Feminists») e nascondeva invece episodi di predazioni e di violenze sessuali.

Eppure una certa parte del mondo LGBT+ desidera impossessarsi anche della lotta contro la misoginia per operare una sorta di pinkwashing e per fare di tutta l’erba un fascio, pretendendo di parlando a nome delle donne per ridurle, di fatto, all’ennesimo silenzio. Il cantate Tiziano Ferro, a quanto pare maître à penser di queste istanze, ha del resto detto la sua. Il «testo unico Zan», passato alla Camera, speriamo non passi in Senato, marcia a ranghi serrati mescolando in un unico calderone le persone omosessuali, i disabili, le donne.

Che hanno sempre meno voce, queste ultime, quasi non ne hanno più, e stavolta non vi è alcun maschio tossico cui dare la colpa.


Tags: DonneFemminismoLGBT+
Barbara Santambrogio

Barbara Santambrogio

Dopo un percorso lavorativo originale e variegato, nel campo della pubblicità e dell’editoria, ma anche nel mondo enologico, è approdata finalmente a occuparsi di quanto più la appassiona. Oggi scrive (per il web, ma non solo), si occupa di traduzioni e insegna nella scuola primaria. Mamma biologica e adottiva, ama leggere e il running.

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